La Cassazione Civile, Sez. Lav., nella sentenza 35228 del 30 novembre 2022, in tema di risarcimento del danno, ha dichiarato che va escluso a carico dell’INAIL l’indennizzo per il danno da perdita del diritto alla vita. Il bene vita, diverso dalla salute, non ricorre nella nozione di danno biologico recepita dal D.Lgs. n. 13 del 2000, art. 13. Infatti, per il ristoro del danno biologico differenziale, vale a dire per quella parte di danno biologico non coperta dalla assicurazione obbligatoria, si può proporre azione risarcitoria autonoma e distinta nei confronti del datore di lavoro.
Cass. Civ., Sez. Lav., n. 35228 del 30.11.2022
Sul ricorso iscritto al n.2447/2019 R.G. proposto da Esposito Olga, Converso Paolo, Converso Marco, Converso Rita, nella qualità di eredi di Converso Aldo, elettivamente domiciliati in Roma Via Crescenzio n.2, sc. B, int. 3, presso lo studio dell’avvocato Ezio Bonanni che li rappresenta e difende.
Ricorrenti
Contro Atitech SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Viale Giulio Cesare n.21/23, presso lo studio degli avvocati Carlo Boursier Niutta e Patrizio Maria Raimondi che la rappresentano e difendono.
Controricorrente
Avverso la sentenza della Corte d’Appello di Napoli n.7562/2017 depositata il 10/01/2018, R.G. n. 1162/2011.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 26/10/2022 dal Consigliere Guglielmo Cinque.
Rilevato che
- Il Tribunale di Napoli, con la pronuncia 33320/2010, ha parzialmente accolto la domanda proposta da P.C., M.C., R.C. e O.E., quali eredi di A.C., e ha condannato l’Atitech spa al risarcimento del danno morale, nella misura di euro 175.106,00, oltre alla rifusione delle spese di lite, per essere il de cuius, già dipendente della società fino al 30.11.2004, deceduto in data 1.11.2006 per mesotelioma di origine professionale.
- La Corte di appello di Napoli, con la sentenza n. 7562/2017, rigettando i gravami sia degli eredi C., che avevano reclamato anche il riconoscimento del danno biologico, patrimoniale ed esistenziale patito dal loro dante causa, sia della società, che riteneva, invece, non provato il nesso di causalità tra la patologia che ebbe a colpire A.C. e le mansioni da questi espletate all’interno dello stabilimento Atitech di Capodichino, ha confermato la decisione di prime cure.
- I giudici di appello hanno rilevato che: a) dalle risultanze processuali era emerso che il C., pur lavorando all’interno dell’ufficio “acquisto” dell’Atitech, era stato esposto, anche per l’espletamento delle sue mansioni, all’amianto; b) non vi era prova che, nel periodo antecedente a suo impiego presso Atitech, fosse stato esposto all’amianto né in maniera diretta né indirettamente, in considerazione del fatto che il padre del C. aveva lavorato presso l’Italsider e portava a casa tute contaminate da fibre di amianto; c) andava condiviso l’assunto del Tribunale circa l’esonero del datore di lavoro ex art. 13 D.lgs. n. 38/2000 sul rilievo che nessuna prova era stata offerta dagli eredi C. in ordine alla sussistenza di comportamenti del datore di lavoro qualificabili come reati perseguibili di ufficio, soprattutto in considerazione della posizione lavorativa del de cuius, addetto agli uffici amministrativi e la cui esposizione all’amianto si era rivelata evento non prevedibile; d) in sede penale era, poi, intervenuta sentenza di assoluzione per i vertici di Atitech a seguito della denuncia presentata dagli eredi C.; e) anche la richiesta di danno patrimoniale non era fondata in considerazione del fatto che il C., al momento della insorgenza della malattia, era già pensionato; f) correttamente il danno morale era stato ritenuto sussistente attraverso elementi presuntivi.
- Avverso la sentenza di secondo grado hanno proposto ricorso per cassazione gli eredi C. affidato a nove motivi, cui ha resistito Atitech con controricorso.
I ricorrenti hanno presentato memorie.
Considerato che
- I motivi possono essere così sintetizzati.
- Con il primo motivo si deduce la violazione degli artt. 24, 111 Cost. e 112 cpc eccependo la nullità della sentenza di secondo grado, ai sensi dell’art. 360 n. 4 cpc, per non essersi la Corte di appello pronunciata sulla inapplicabilità della regola dell’esonero per i profili di responsabilità contrattuale e soprattutto in ordine ai danni non coperti dall’assicurazione INAIL.
- Con il secondo motivo si deduce la violazione delle norme di cui all’art. 2087 cc, in combinato disposto con le norme di cui agli artt. 1218, 1223 e 1453 cc e/o 432 cpc e/o 1226 cc e falsa applicazione dell’art. 13 D.lgs. n. 38/2000 e falsa applicazione dell’art. 10 dpr n. 1124/65, in relazione all’art. 360 n. 3 cpc nonché la violazione delle norme di cui agli artt. 75, 651 e ss. cpp e 295 cpc, in combinato disposto con tutte le norme di cui alle norme del mezzo di impugnazione, in relazione all’art. 360 n. 3 cpc, per avere la Corte di appello, sul presupposto che nel caso di specie non sarebbe stata configurabile una responsabilità civile da reato, negato la risarcibilità del danno biologico assumendo l’applicazione della regola dell’esonero di cui all’art. 10 dpr n. 1124/65 e di cui all’art. 13 D.lgs. n. 38/2000, sorvolando però sul fatto che, vertendosi in ipotesi di responsabilità ex art. 2087 cc, si configurava comunque il risarcimento del danno biologico differenziale e dei danni per lesione dei diritti costituzionali.
- Con il terzo motivo si deduce la violazione dell’art. 2043, 2059 e 2087 cc, in combinato disposto con l’art. 2056 cc, in relazione all’art. 360 n. 3 cpc; la violazione delle norme di cui agli artt. 2050 e 2051 cc, in uno con l’art. 2056 cc, in relazione all’art. 360 n. 3 cpc; la violazione delle norme di cui agli artt. 2043, 2059, 2050, 2051 e 2087 cc; la falsa applicazione dell’art. 10 dpr n. 1124/65; la violazione delle norme di cui agli artt. 2, 3, 4, 29, 30, 31,32, 35, 36 e 41 II c. Cast., delle norme di cui agli artt. 432 e 2056 cc e la falsa applicazione dell’art. 10 dpr n. 1124/65, in relazione all’art. 360 n. 3 cpc; la violazione delle norme di cui agli artt. 75, 651 e ss. cpp e 295 cpc, in combinato disposto con tutte le norme di cui al mezzo di impugnazione, in relazione all’art. 360 n. 3 cpc, per avere erroneamente la Corte territoriale escluso la risarcibilità dei danni differenziali e complementari, subiti dal C., a fronte di una responsabilità di natura civilistica, contrattuale o extracontrattuale, comunque ravvisabile nella vicenda.
- Con il quarto motivo si deduce la violazione delle norme di cui agli artt. 589 e 590 cod. pen. e 2043 e 2059 cc e/o 2087 cc; la falsa applicazione dell’art. 10 dpr n. 1124/65; la violazione delle norme di cui agli artt. 2, 3, 4, 29, 30, 31, 32, 35, 36 e 41 co. 2 Cost. e delle norme di cui agli artt. 432 e 2056 cc nonché la falsa applicazione dell’art. 10 dpr. n. 1124/65, in relazione all’art. 360 n. 3 cpc; la violazione delle norme di cui agli artt. 75, 651 e ss. cpp e 295 cpc, in combinato disposto con tutte le norme di cui al mezzo di impugnazione, in relazione all’art. 360 n. 3 cpc, per non avere considerato la Corte di appello che, ai fini della non applicabilità della regola dell’esonero, era sufficiente che il fatto fosse configurabile astrattamente come reato, per la violazione delle regole cautelari, e non già la condanna penale del titolare della posizione di garanzia.
- Con il quinto motivo si deduce la violazione dei principi del giusto processo e delle norme di cui agli artt. 24 e 111 Cost. e di cui all’art. 6 CEDU, in relazione all’art. 360 n. 4 cpc, perché la Corte di appello, con una motivazione perplessa e contraddittoria, pur ritenendo la responsabilità della società per la violazione dell’art. 2087 cpc, non aveva poi riconosciuto il diritto al risarcimento del danno biologico in capo al de cuius.
- Con il sesto motivo si deduce la violazione dell’art. 111 co. 6 Cost. e dell’art. 132 n. 4 cpc, in relazione all’art. 360 co. 1 n. 4 cpc, per il radicale contrasto contenuto nella motivazione della sentenza impugnata che, da un lato, aveva rigettato l’appello della società ritenendo, quindi, la responsabilità del datore di lavoro ex art. 2087 cc e, dall’altro, aveva precisato che non era configurabile una responsabilità da reato ovvero ex art. 2087 cc.
- Con il settimo motivo si deduce la violazione dell’art. 111 co. 6 Cost. e dell’art. 132 n. 4 cpc, in combinato disposto con le norme di cui all’art 2087 cc, in combinato disposto con le norme di cui agli artt. 1218, 1223 e 1453 cc e/o 432 cpc e/o 1226 cc e falsa applicazione dell’art. 13 D.lgs. n. 38/2000 e falsa applicazione dell’art. 10 dpr 1124/65, in relazione all’art. 360 n. 3 cpc; la violazione delle norme di cui agli artt. 2043 e 2059 cc e/o 2087 cc; la falsa applicazione dell’art. 10 dpr n. 1124/65; la violazione delle norme di cui agli artt. 2, 3, 4, 29, 30, 31, 32, 35, 36 e 41 co. 2 Cost. e delle norme di cui agli artt. 432 e 2056 cc, la falsa applicazione dell’art. 10 dpr n. 1124/65, in relazione all’art. 360 n. 3 cpc nonché la violazione delle norme di cui agli artt. 75, 6551 e ss. cpp e 295 cpc, in combinato disposto con tutte le norme di cui al mezzo di impugnazione, in relazione all’art. 360 n. 3 cpc, per essere la gravata sentenza priva di motivazione ovvero con motivazione palesemente contraddittoria, perplessa e obiettivamente incomprensibile, scevra dal contenuto degli atti processuali, non consentendo la verifica del percorso logico giuridico che ha portato alla formulazione del giudizio.
- Con l’ottavo motivo si deduce la violazione delle norme di cui all’art. 2087 cc, in combinato disposto con le norme di cui agli artt. 1218, 1223 e 1453 cc e/o 432 cpc e/o 1226 cc e falsa applicazione dell’art. 13 D.lgs. n. 38/2000 e falsa applicazione dell’art. 10 dpr n. 1124/65, in relazione all’art. 360 n. 3 cpc; la violazione delle norme di cui agli artt. 2043 e 2059 cc e/o 2087 cc; la falsa applicazione dell’art. 10 dpr n. 1124/65; la violazione delle norme di cui agli artt. 2, 3, 4, 29, 30, 31, 32, 35, 36 e 41 co. 2 Cost. e delle norme di cui agli artt. 432 e 2056 cc e la falsa applicazione dell’art. 10 dpr n. 1124/65 in relazione all’art. 360 n. 3 cpc; la violazione degli artt. 1218, 1223 e 1453 cc, in combinato disposto con l’art. 2087 cc e con gli artt. 2, 3, 4, 29, 30, 31, 32, 35, 36 e 41 co. 2 Cost., in relazione all’art. 360 n. 3 cpc; la violazione delle norme di cui ai capi da I a VII del ricorso per cassazione e di tutte le norme di cui al ricorso di I grado, in relazione all’art. 360 n. 3 cpc; la violazione delle norme di cui agli artt. 2727 e 2729 cc in combinato disposto con le norme di cui all’art. 2087 cc, in combinato disposto con le norme di cui agli artt. 1218, 1223 e 1453 cc e/o 432 cpc e/o 1226 cc, di cui agli artt. 2043 e 2059 cc e 2056 cc, in relazione all’art. 360 n. 3 cpc; la violazione delle norme di cui agli artt. 75, 651 e ss. cpp e 295 cpc, in combinato disposto con tutte le norme di cui al mezzo di impugnazione, in relazione all’art. 360 n. 3 cpc. Si reitera la declaratoria di erroneità della sentenza impugnata in ordine al mancato riconoscimento del danno biologico, alla non corretta applicabilità della regola dell’esonero, alla responsabilità della società e alla mancata considerazione di varie voci di danno.
- Con il nono motivo si deduce l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 n. 5 cpc, costituito dall’avere la Corte territoriale prima ricostruito i fatti in modo conforme al primo giudice, confermando che la causa della morte era riconducibile a mesotelioma di origine professionale, e poi negando il risarcimento del danno differenziale e, in particolare di quello biologico nonché di quelli complementari.
- Osserva, preliminarmente, questo Collegio che i motivi di ricorso, per come articolati, non rispondono al canone della chiarezza e della sinteticità espositiva: canone che rappresenta l’adempimento di un preciso dovere processuale il cui mancato rispetto, da parte del ricorrente per cassazione, lo espone al rischio di una declaratoria di inammissibilità della impugnazione (Cass. n. 19100/2006; Cass. n. 10072/2018).
- Tuttavia, in ossequio ai principi contenuti nella sentenza CEDU Succi e altri c/ Italia del 28.10.2021, i denunciati vizi vanno interpretati in modo non formalistico, così da individuare la sostanza del diritto in contesa e la essenza delle censure mosse alla gravata sentenza.
- Scrutinando, pertanto, congiuntamente i nove motivi (alcuni dei quali indubbiamente ripetitivi) per connessione logico-giuridica, in un contesto in cui l’oggetto del giudizio era rappresentato anche dalla richiesta di risarcimento del danno differenziale avanzata iure hereditatis dagli odierni ricorrenti, per essere il de cuius deceduto a seguito di mesotelioma di origine professionale, devono essere enucleate le seguenti doglianze addebitate alla impugnata decisione: a) erronea applicazione della regola dell’esonero di cui all’art. 10 dpr n. 1124/1965 e 13 D.lgs. n. 38/2000 con connessa omessa pronuncia sul diritto al riconoscimento del danno biologico differenziale a seguito di responsabilità contrattuale o extracontrattuale; b) vizio di motivazione perplessa e contraddittoria in ordine, da un lato, all’accertamento della responsabilità ex art. 2087 cc in capo al datore di lavoro e, dall’altro, al mancato riconoscimento del danno biologico; c) sussistenza dei presupposti per il riconoscimento del danno biologico temporaneo, quale danno differenziale, risarcibile a prescindere dal danno coperto dall’INAIL.
- Tutte le altre obiezioni, contenute nei motivi e relative ad accertamenti di fatto, non sindacabili in questa sede, ovvero a violazioni procedurali, in relazione alle quali non è stato specificato il pregiudizio patito al diritto di difesa, sono inammissibili.
- Orbene, per meglio valutare le censure ritenute ammissibili e sopra indicate, è opportuno specificare che, in primo grado, il Tribunale ha riconosciuto agli eredi il solo danno morale ritenendo che il danno biologico comprendesse ogni pregiudizio diverso da quello consistente della diminuzione o nella perdita della capacità di produrre reddito che la lesione del bene alla salute aveva provocato alla vittima e che non fosse concettualmente diverso dal danno estetico o dal danno alla vita di relazione.
- Gli appellanti principali avevano chiesto che venisse, invece, loro riconosciuto anche il danno biologico, patrimoniale ed esistenziale, subiti dal defunto per effetto della insorgenza della malattia professionale e contestavano la quantificazione del danno morale subito liquidato in euro 175.106,00.
- La società appellante incidentale aveva, invece, contestato la valutazione delle prove sostenendo che non era stata dimostrata la effettiva esposizione all’amianto del proprio dipendente avendo questi svolto attività di tipo amministrativo.
- La Corte territoriale, da un lato, ha respinto il gravame incidentale della società, ritenendo, quindi, la sussistenza del nesso causale tra l’attività del C. e l’insorgenza della malattia professionale; dall’altro, ha respinto la richiesta di risarcimento del danno biologico sul presupposto della mancanza di prova in ordine alla sussistenza di comportamenti del datore di lavoro qualificabili anche come reato perseguibile di ufficio, sia sotto il profilo oggettivo che soggettivo, tali quindi da rendere operativa la deroga prevista dall’art. 10 del dpr n. 1124/1965.
- Ciò premesso, la gravata sentenza presenta vari punti di criticità non conformi ai principi statuiti in materia in sede di legittimità.
- In primo luogo, la Corte distrettuale non ha considerato che va escluso a carico dell’INAIL l’indennizzo per il danno “da perdita del diritto alla vita”, atteso che, venendo in questione un bene quale la vita, diverso dalla salute, non ricorre la nozione di danno biologico recepita dall’art. 13 d.lgs. n. 13/2000; per il ristoro del danno biologico cd. differenziale, vale a dire per quella parte di danno biologico non coperta dalla assicurazione obbligatoria, si può, infatti, proporre azione risarcitoria autonoma e distinta nei confronti del datore di lavoro ove ricorrano le condizioni di legge (Cass. n. 24474/2020).
- In secondo luogo, va evidenziato che, in tema di assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, la disciplina prevista dagli artt. 10 e 11 dpr n. 1124/1965 deve essere interpretata nel senso che l’accertamento incidentale in sede civile del fatto costituente reato, sia nel caso di azione proposta dal lavoratore per la condanna del datore di lavoro al risarcimento del danno cd. differenziale, sia nel caso della azione di regresso proposta dall’INAIL, deve essere condotto secondo le regole comuni della responsabilità contrattuale, anche in ordine all’elemento soggettivo della colpa e del nesso causale tra fatto ed evento (Cass. n. 12041/2020).
- La Corte di merito non ha svolto tale verifica di natura civilistica, essendosi limitata ad affermare che non erano emersi profili di colpa di rilievo penale, adottando, però, una motivazione perplessa e obiettivamente incomprensibile perché, se da un lato, respingendo l’appello incidentale della società, ha ritenuto fondata la statuizione, operata dal primo giudice, circa il riconoscimento del danno morale agli eredi C. iure hereditatis, dall’altro, però, quella stessa responsabilità, ritenuta sussistente da un punto di vista civilistico, non l’ha valutata ai fini del riconoscimento del danno biologico differenziale non coperto dall’indennizzo INAIL.
- A tal riguardo, in terzo ed ultimo luogo, deve precisarsi che l’attuale sistema assicurativo non copre il danno biologico temporaneo. In base al D.lgs. n. 38 del 2000, art. 13, e al dpr. n. 1124 del 1965, art. 66, comma 1, nr. 2, infatti, il danno biologico risarcibile dall’INAIL è solo quello relativo all’inabilità permanente (v. Cass., sez. lav., nr. 4972 del 2018; Cass., sez. lav., nr. 20392 del 2018; Cass., sez. III, nr.24474 del 2020). L’art. 13 del Decreto Legislativo in commento (secondo il testo in vigore dal 14.06.2001), al secondo comma, stabilisce, in particolare, che «In caso di danno biologico [ … ] l’INAIL, nell’ambito del sistema d’indennizzo e sostegno sociale, in luogo della prestazione di cui all’art. 66, comma 1, n. 2), del testo unico, eroga l’indennizzo previsto e regolato dalle seguenti disposizioni[ … ]». A sua volta, l’art. 66 del T.U. (id est: del D.P.R. nr. 1124 del 1965) elenca le prestazioni dell’assicurazione, fornite dall’INAIL, nelle seguenti: 1) un’indennità giornaliera per l’inabilità temporanea; 2) una rendita per l’inabilità permanente; 3) un assegno per l’assistenza personale continuativa; 4) una rendita ai superstiti e un assegno una volta tanto in caso di morte; 5) le cure mediche e chirurgiche, compresi gli accertamenti clinici; 6) la fornitura degli apparecchi di protesi. Dal combinato disposto delle due norme di legge appare, dunque, evidente come il danno biologico coperto dall’Istituto si riferisca esclusivamente e soltanto alla menomazione permanente dell’integrità psico fisica, che si protrae, cioè, per tutta la vita, che può essere assoluta o parziale e decorre dal giorno successivo a quello della cessazione dell’inabilità temporanea (art. 74, secondo comma, T.U. INAIL).
- Esulano, dunque, dal sistema assicurativo, sia il «danno biologico temporaneo» che il cd. «danno morale» (Cass. n. 6503/2022).
- In relazione a detti pregiudizi, per i quali, a seconda delle diverse ricostruzioni, in caso di morte può parlarsi di «danno biologico terminale» e di «danno morale terminale o catastrofale o catastrofico» (v., sul tema, Cass., Sez. un., nr. 15350 del 2015; in particolare, in motivazione, par. 3.1, terzo capoverso; in seguito, tra le altre, v. Cass., sez. lav., nr. 8580 del 2019), trasmissibili iure hereditatis, non viene, dunque, in rilievo la tutela garantita dall’INAIL.
- Nel caso in esame, la Corte distrettuale, in ipotesi di ritenuta responsabilità del datore di lavoro, avrebbe dovuto anche accertare se il danno biologico terminale (inteso nella fattispecie come danno biologico temporaneo) fosse stato acquisito al patrimonio del de cuius ed era, pertanto, trasmissibile agli eredi a seguito di un processo di stabilizzazione della lesione alla integrità psico-fisica temporanea facendo riferimento, per la eventuale liquidazione (cfr. Cass. nr. 18163 del 2007; nr. 1877 del 2006) per la componente di danno biologico, alle tabelle relative all’invalidità temporanea, mentre, per la seconda componente, avente natura peculiare, ad un criterio equitativo puro – ancorché sempre puntualmente correlato alle circostanze del caso concreto – che avesse saputo tener conto della enormità del pregiudizio, atteso che la lesione era così elevata da non essere suscettibile di recupero e da esitare nella morte.
- Alla stregua di quanto esposto il ricorso deve essere, pertanto, accolto per quanto di ragione.
- La gravata sentenza va cassata in relazione alle censure accolte, in motivazione specificate, e la causa va rinviata alla Corte di appello di Napoli, in diversa composizione, che procederà ad un nuovo esame attenendosi ai principi sopra esposti e provvederà, altresì, alle determinazioni delle spese anche del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso per quanto di ragione; cassa la sentenza in relazione alle censure accolte, in motivazione specificate, e rinvia alla Corte di appello di Napoli, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 26 ottobre 2022