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Cassazione Civile, Sezione Lavoro, 678/2023

Cassazione Civile, Sezione Lavoro, 678/2023

La Cassazione, con la sentenza 678 del 2023, ha stabilito che, in tema di risarcimento danni per malattia professionale, l’onere della prova del nesso causale tra prestazione lavorativa e danno incombe su colui che ne chiede il riconoscimento, che potrà a tal fine avvalersi anche delle certificazioni I.N.A.I.L. – nello specifico riferite all’esposizione all’amianto e all’origine professionale della malattia.

Fatto

  1. Con la sentenza in epigrafe indicata, la Corte d’appello di Genova rigettava l’appello che C.L. e M.M., rispettivamente vedova e figlia del defunto M.S., avevano proposto contro la sentenza del Tribunale di Genova, la quale aveva rigettato le loro domande spiegate nei confronti della Semat s.p.a. e volte ad essere risarcite del danno biologico e morale causati dal decesso del loro congiunto suddetto, sia iure ereditario sia iure proprio; danni, secondo le istanti, derivati da malattia professionale (una neoplasia polmonare) da cui quello era risultato affetto, e, sempre secondo la prospettazione delle ricorrenti, causata da esposizione all’amianto, con decesso di M.S. in data 15.10.2015.
  2. Per quanto qui interessa, la Corte territoriale riteneva di condividere le conclusioni raggiunte dal C.T.U. già nominato dal Tribunale, in quanto precise, esaurienti ed esenti da vizi logici, ed in base alle quali era stata esclusa .
  3. Avverso tale decisione C.L. e M.M. hanno proposto ricorso per cassazione, affidato ad unico articolato motivo.
  4. Ha resistito l’intimata con controricorso.
  5. Le parti hanno prodotto memorie.

Diritto

  1. Con l’unico articolato motivo, le ricorrenti ex art. 360, comma primo, n. 3) c.p.c. denunciano “Violazione e falsa applicazione di norme di diritto: art. 41 c.p. 2697 c.c. circa il principio di equivalenza delle cause. Errata valutazione scientifica del nesso causale tra esposizione all’amianto del lavoratore e la patologia insorta nel medesimo”. Deducono che la Corte d’appello di Genova non aveva “adeguatamente applicato il principio di causalità ed in particolare dell’equivalenza delle condizioni come emerso dagli atti di causa e dalla relazione del CTU, che non aveva escluso una esposizione del lavoratore a fattori nocivi ed all’amianto e che aveva anche condiviso le conclusioni dell’INAIL circa il riconoscimento della malattia professionale per esposizione all’amianto, erroneamente concludendo, però, per il difetto di prova del nesso eziologico, attribuendo, seppur indirettamente, la causa del decesso alla pregressa attività lavorativa ed al tabagismo comunque concorrenti”.
  2. Ritiene il Collegio che il ricorso sia per quanto di ragione fondato.
  3. La decisione gravata è, invero, diffusamente motivata ed ha preliminarmente dato conto in modo esteso dei motivi d’appello formulati dalle attuali ricorrenti rispetto alla decisione di prime cure.
    In particolare, il giudice d’appello ha riferito, tra l’altro, e per quanto qui soprattutto interessa, dei rilievi svolti dalle allora appellanti circa la certificazione INAIL, che il Tribunale aveva ritenuto ininfluente ai fini processuali (cfr. pagg. 8-9 dell’impugnata sentenza).
  4. Tuttavia, a quest’ultimo proposito la Corte distrettuale ha considerato: “Quanto alla lamentata omessa rilevanza attribuita alla certificazione Inail, va ribadito quanto affermato dal primo giudice circa l’autonomia dell’accertamento condotto nel presente giudizio e nel contraddittorio col datore di lavoro rispetto a quello condotto in sede amministrativa da parte di Inail, che certamente non può esaurire la prova del nesso eziologico tra lavorazioni svolte e patologia lamentata”.
  5. Tale conclusione, però, non è conforme a principi di diritto più volte affermati da questa Corte.
  6. Giova, anzitutto, premettere che è jus receptum che, in materia di infortuni sul lavoro e malattie professionali, trova applicazione la regola dell’art. 41 c.p., con la conseguenza che il rapporto tra l’evento e il danno è governato dal principio di equivalenza delle condizioni, secondo il quale va riconosciuta efficienza causale ad ogni antecedente che abbia contribuito, anche in maniera indiretta e remota, alla produzione dell’evento, potendosi escludere l’esistenza del nesso eziologico richiesto dalla legge solo se possa essere ravvisato con certezza l’intervento di un fattore estraneo all’attività lavorativa, di per sé sufficiente a produrre l’infermità e tale da far degradare altre evenienze a semplici occasioni (così Cass. civ., sez. lav., 31.10.2018, n. 27952). Pertanto, è stato, ad es., deciso che il decesso per malattia professionale (nella specie, un carcinoma polmonare dovuto a prolungata esposizione all’amianto e agli idrocarburi) può essere dichiarato nonostante la presenza di una concausa quale il tabagismo (così Cass. civ., sez. lav., 12.6.2019, n. 15762, in fattispecie in cui il tabagismo era stato sì concausa dell’evento, ma non causa esclusiva).
    6.1. E proprio in tale ambito valutativo del nesso eziologico, Cass. civ., sez. lav., 16.3.2015, n. 5174, ha ricordato anzitutto circa le certificazioni Inail in questione di aver “già avuto modo di puntualizzare la loro rilevanza al di fuori dello specifico contesto di riferimento in cui sono emesse (Cass., n. 18008 del 2014)”, vale a dire quello del conseguimento dei benefici previdenziali previsti dall’art. 13, comma 8, L. 27 marzo 1992, n. 257, e successive modificazioni.
    6.2. Inoltre, appunto in relazione a fattispecie concreta simile a quella che qui ci occupa (riguardante domanda risarcitoria ex art. 2087 c.c. contro due datrici di lavoro), la suddetta decisione ha specificato che dette certificazioni INAIL, se non possono avere valore dirimente, “possono assumere rilievo ai fini di concorrere ad integrare la prova circa l’esposizione” all’amianto.
    Risulta, perciò, in contrasto con la rilevanza probatoria, sia pure non dirimente, da assegnare alle ridette certificazioni l’assunto che pare prospettato dalla Corte territoriale secondo il quale il rilievo delle stesse sarebbe subvalente (rispetto all’accertamento giudiziale) in ragione del fatto che tali certificazioni sono formate in sede amministrativa al di fuori di un “contraddittorio” con la datrice di lavoro. La stessa Corte, inoltre, ha ritenuto che il relativo accertamento dell’ente previdenziale “non può esaurire la prova del nesso eziologico tra lavorazioni svolte e patologia lamentata”; il che potrebbe essere teoricamente condivisibile, ma, in assenza di ulteriori specificazioni, finisce con l’annichilire del tutto la valenza di una fonte probatoria invece sicura e qualificata.
    6.3. A riguardo va sottolineato che la stessa Corte di merito aveva riferito inoltre che, nell’ambito delle risultanze di natura documentale, le doglianze delle appellanti erano riferite, non solo all’apposita certificazione dell’Inail circa l’esposizione all’amianto, ma anche al pregresso riconoscimento di una malattia professionale da parte sempre dello stesso ente (cfr. sempre tra la pag. 8 e la pag. 9 della sua decisione).
    Più nello specifico, la medesima Corte aveva dato conto che le attrici “premettevano che il loro dante causa aveva lavorato alle dipendenze della Semat, presso il cantiere Ilva di Genova, dal 04.05.1996 al 01.01.2010 con prolungata esposizione all’amianto. In data 25.08.2014 gli veniva diagnosticata una sospetta neoplasia polmonare, poi confermata anche dall’Inail in data 20.11.2014, che lo riconosceva, ai sensi del D.M. n. 30 del 12.01.2011, affetto da malattia professionale causata da esposizione all’amianto. Successivamente in data 15.10.2015 il sig. M.S. decedeva”.
    La Corte territoriale, perciò, disponeva di questo ulteriore dato estrinseco di potente e specifico riscontro di quanto certificato dall’INAIL circa l’esposizione ad amianto.6.4. Lo stesso dato, invece, non risulta praticamente considerato dal giudice a quo, se non molto indirettamente, quando, cioè, ha richiamato, tra gli altri, il passo della relazione del C.T.U., in cui si legge: “Non si può escludere che nel corso dell’attività lavorativa svolta dal 1996 al 2009 alle dipendenze della Semat S.p.A. presso l’ILVA, in particolare nei primi 9 anni (ossia nel periodo antecedente al 2005, stante la cessazione da tale anno delle lavorazioni a caldo nello stabilimento), il sig. M.S. sia stato esposto – indirettamente e non continuativamente – a inquinanti potenzialmente nocivi o cancerogeni per l’apparato respiratorio, tra i quali l’amianto”.
    Le ricorrenti, però, hanno evidenziato che sempre il medesimo consulente d’ufficio aveva anche scritto: “Quanto detto, è bene ripeterlo, non porta necessariamente a negare le conclusioni dell’INAIL, almeno per quanto riguarda il parere positivo sulla malattia professionale e su una m.p. conseguita in particolare all’esposizione all’amianto”.
    6.5. Infine, il punto di motivazione, in precedenza riportato, in cui la Corte d’appello ha affermato l’autonomia dell’accertamento condotto in ambito giudiziario rispetto a quello condotto in sede amministrativa dall’INAIL, implicitamente reputando prevalente il primo, è giuridicamente erroneo anche sotto un ulteriore profilo.
    Si trascura di considerare, infatti, che, pur essendo le ricorrenti tenute a provare la sussistenza del nesso causale tra quanto occorso al loro congiunto deceduto e le prestazioni lavorative da quello rese in vita alle dipendenze della convenuta, i documenti di cui s’è detto, provenienti dall’INAIL (sia l’apposita certificazione che i documenti relativi al riconoscimento della malattia professionale), per loro iniziativa erano sin dall’inizio entrati a far parte del materiale probatorio utilizzabile ex art. 115, comma primo, c.p.c. in una situazione di pieno contraddittorio.
    Per conseguenza, il parallelismo, intravisto dai giudici di secondo grado, tra un accertamento “autonomo” condotto in sede giudiziale e quello espletato in sede amministrativa dall’INAIL è privo di giuridico fondamento.
    Anche documenti provenienti dall’INAIL, indubbiamente significativi del rapporto causale, pur se singolarmente considerati non esaustivi a riguardo, dovevano essere apprezzati, viepiù a fronte di un parere del consulente d’ufficio che, come si è visto, non ne smentiva la rilevanza; peraltro, a maggior ragione a fronte delle contestazioni delle ricorrenti di quel parere, pure a mezzo del proprio consulente di parte, incombeva sui giudici di merito anche l’onere di controllarne, in questo caso sì autonomamente, la coerenza anzitutto logica.
  7. Infondata, da ultimo, è l’eccezione d’inammissibilità dell’unico motivo del ricorso, sollevata dalla controricorrente sul rilievo che le ricorrenti non avevano censurato l’ulteriore ed autonoma ratio decidendi, secondo la stessa, espressa nel passo di motivazione in cui la Corte d’appello aveva ritenuto che il datore di lavoro avesse provato di avere adempiuto al suo obbligo di sicurezza. La controricorrente allude alla parte di motivazione, in cui è scritto: “Pertanto, il lavoratore da un lato il lavoratore (n.d.r.: rectius, le aventi causa dal defunto lavoratore) non ha provato la sussistenza del nesso causale tra il danno alla salute e la prestazione lavorativa, laddove il datore di lavoro, al contrario, ha provato di aver adempiuto al suo obbligo di sicurezza, apprestando tutte le misure per evitare il danno, come da costante orientamento di legittimità, come sopra riportato dalla stessa parte appellante seppure per sostenere la tesi contraria”. Ergo, come condivisibilmente ha ribattuto la difesa delle ricorrenti nella propria memoria, anzitutto l’affermazione cui la controricorrente annette valore di ulteriore ragione della decisione fa parte di un unico contesto argomentativo. Ma, soprattutto, gli elementi dei quali la Corte di merito erroneamente ha escluso qualsiasi rilevanza probatoria, essendo specificamente riferiti all’esposizione all’amianto e all’origine professionale della malattia che portò al decesso, ben potevano concorrere nel trovare smentita anche alla prova dell’adempimento all’obbligo di sicurezza, incombente sulla datrice di lavoro ed asserita mente fornita.
  8. Alla stregua di tutte le superiori considerazioni la sentenza impugnata dev’essere cassata con rinvio alla Corte territoriale, la quale, in diversa composizione, dovrà riesaminare il caso conformandosi ai su riportati principi di diritto, oltre a regolare le spese di questo giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte d’appello di Genova, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma nell’adunanza camerale del 18.10.2022