La Cassazione, Sez. Lav., ord. 21950/2023, in tema di danno differenziale, ha stabilito che la regola dell’equipollenza delle cause subisce una eccezione nella sola ipotesi in cui si raggiunga la prova che il fattore alternativo, innescando una serie causale autonoma, sia stato in grado, da solo, di produrre l’evento. Tale prova, tuttavia, non può essere oggetto di semplici presunzioni tratte da ipotesi tecniche teoricamente possibili, ma necessita di una concreta e specifica dimostrazione, in termini di “probabilità qualificata“. Si dovrà quindi accertare se l’esposizione del lavoratore a sostanze nocive nel corso del rapporto di lavoro possa avere avuto un qualsiasi ruolo concausale nell’insorgere o nell’aggravarsi della patologia tumorale, sia pure innescata dall’esposizione subita presso precedenti datori di lavoro, altresì definendo il ruolo svolto dall’abitudine al tabagismo, come concausa.
Cass., Sez. Lav., Ordinanza 21950 del 21.07.2023
Sul ricorso 27249-2019 proposto da A.A., B.B., C.C., in proprio e quali eredi di D.D., tutti elettivamente domiciliati in Roma, Via Crescenzio 2, presso lo studio dell’avvocato Ezio Bonanni, che li rappresenta e difende.
Ricorrenti
contro (Omissis) Spa in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Lungotevere Flaminio 60, presso lo studio dell’avvocato Fabrizio Paragallo, che la rappresenta e difende.
Controricorrente
nonchè contro (Omissis) Spa – (Omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via Prenestina 45, presso lo studio dell’avvocato Simona Flamment, che la rappresenta e difende.
Controricorrente
avverso la sentenza n. 823/2019 della Corte D’Appello di Roma, depositata il 14/03/2019 R.G.N. 4674/2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 05/07/2023 dal Consigliere Dott. Carla Ponterio.
Svolgimento del processo
- La Corte d’appello di Roma ha respinto l’appello proposto da A.A., B.B. e C.C., eredi di D.D., nei confronti delle società (Omissis) Spa e (Omissis) Spa confermando la decisione di primo grado che aveva rigettato la domanda di risarcimento dei danni dai medesimi rivendicati, iure proprio e iure hereditatis, a causa del decesso del loro congiunto per malattia professionale contratta nello svolgimento dell’attività lavorativa di operaio elettromeccanico manutentore di mezzi rotabili presso le officine (Omissis) Spa di (Omissis).
- La Corte territoriale, premesso che in primo grado era stato dichiarato il difetto di legittimazione passiva di (Omissis) Spa e che il ricorso in appello era stato notificato a questa società solo ai fini dell’integrità del contraddittorio processuale, ha dato atto che la c.t.u. svolta in primo grado ha escluso il nesso causale tra l’attività lavorativa e il decesso del lavoratore sulla base dei seguenti elementi: a) la manifestazione della malattia era avvenuta solo dopo quattro anni dall’inizio dell’attività lavorativa presso (Omissis); b) le lavorazioni precedenti all’assunzione in (Omissis) (1988) presso altre officine meccaniche avevano comportato il contatto con fibre di amianto per circa 15-20 anni; c) la durata dell’esposizione nel corso del rapporto alle dipendenze di (Omissis) era stata breve; d) il lavoratore fumava 30 sigarette al giorno dall’età di (Omissis); e) l’esposizione presso (Omissis) era stata non intensa poichè solo occasionalmente il lavoratore,durante le varie fasi di lavorazione, entrava in contatto con amianto aerodisperso.
- Ha ritenuto pacifici i primi quattro elementi, non oggetto di specifica censura con i motivi di impugnazione. Sul quinto elemento, attinente alla intensità dell’esposizione, ha rilevato come, anche dalle prove testimoniali raccolte, non fosse “emerso il dato della frequenza con la quale le lavorazioni comportassero specifiche attività dalle quali si generava la produzione di polveri aerodisperse (annerimento di caminetti, i cui residui venivano tolti a mano con l’aiuto di stracci, oppure segatura/carteggio di pannelli o altri componenti contenenti amianto, oppure pulizia delle corsie di passaggio dei locomotori in manutenzione), non risultando sufficiente, ai fini del giudizio di causalità, per quanto indicato dal c.t.u., il solo contatto con materiali costituiti da fibre di amianto, pur maneggiati quotidianamente (come riferito dal teste E.E.) nelle ordinarie attività di manutenzione”.
- Secondo i giudici di appello, dati significativi non potevano desumersi dalle relazioni peritali eseguite in altri procedimenti instaurati da colleghi di lavoro del D.D. e dalle relative sentenze non risultando, ai fini della intensità dell’esposizione nociva, l’equipollenza delle rispettive mansioni; inoltre, dalla relazione (Omissis) del 12.10.2000, concernente le lavorazioni comportanti esposizione a fibre di amianto nel periodo 1992/1994, emergeva che “per le manutenzioni sui rotabili svolte nel deposito ferroviario di (Omissis) per controllo e manutenzione di apparati elettrici, pneumatici, sostituzione di componenti, manutenzione e riparazione cassoni contenitori di apparati elettrici e pulizia relativi ambienti, la concentrazione di fibre di amianto era stimata in 30 ff/l” e che “nello stesso stabilimento… dal 1992 non erano più utilizzati rivestimenti contenenti amianto oppure rivestimenti a spruzzo negli interni della carrozzeria, nei sottocassa, nelle cabine di guida e nei vagoni, nè (erano usati) i caminetti spegniarco di interruttori, costituiti da miscele con rilevante presenza di amianto, il cui annerimento, come riferito dai testi, il ricorrente puliva a mano con l’aiuto di stracci”.
- La sentenza impugnata esclude l’esistenza di un nesso causale tra l’attività lavorativa e il decesso del lavoratore poichè “l’attività lavorativa del D.D. presso (Omissis) non era in grado di determinare da sola la produzione dell’evento lesivo, non avendo la forza di superare, in termini di efficienza causale, fattori estranei alla causa di servizio quali la prolungata massiccia dedizione al fumo e lo svolgimento di una precedente attività lavorativa a rischio per un considerevole arco di tempo (1520 anni)” (pag. 6 della sentenza d’appello).
- Avverso tale sentenza gli eredi di D.D. hanno proposto ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi. (Omissis) Spa e (Omissis) Spa hanno resistito con distinti controricorsi. Entrambe le parti hanno depositato memorie, ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c..
Motivi della decisione
- Con il primo motivo di ricorso è dedotta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, violazione della Cost., artt. 24 e 111, degli artt. 6 e 13 Cedu, degli artt. 112 e 195 c.p.c., per omessa pronuncia sui motivi di appello con cui si richiamava la documentazione scientifica e si censurava la mancata valutazione delle prove; tra queste l’avvenuto riconoscimento dell’origine professionale della patologia che ha causato la morte del lavoratore come da sentenza irrevocabile del Tribunale di Roma n. 6946/99 sulla rendita ai superstiti. Si censura, tra l’altro, la sentenza impugnata per l’errata valutazione della condizione di rischio e dell’entità della esposizione, nonchè per aver ignorato il ruolo sinergico e di potenziamento degli effetti cancerogeni dell’amianto attribuito al fumo di sigarette e per essersi dissociata dalle leggi scientifiche; inoltre, per omessa pronuncia sulla censura di mancata rituale acquisizione dei chiarimenti del c.t.u. sulle osservazioni del consulente di parte; ancora per vizio di ultrapetizione con riferimento ad altre attività lavorative svolte prima dell’assunzione in (Omissis) (Omissis).
- Con il secondo motivo di ricorso è dedotta violazione della Cost., artt. 24 e 111 per lesione del diritto del giusto processo e del diritto alla prova; violazione dell’art. 421 c.p.c. in riferimento al mancato esercizio dei poteri ufficiosi; violazione degli artt. 115 e 116 e dell’art. 445 c.p.c. per mancata rinnovazione della c.t.u. medico legale e mancata ammissione, anche ai sensi dell’art. 421 c.p.c., della c.t.u. ambientale, in combinato disposto con gli artt. 1218, 1223 e 1453 c.c. e degli artt. 2043, 2059 e 2087 c.c. con riferimento all’art. 41 c.p., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 Il secondo motivo è articolato in censure numerate da IIa a IIf, con cui si denuncia, tra l’altro, la violazione degli artt. 40 e 41 c.p. e dell’art. 2697 c.c. per avere la Corte di merito ammesso l’esposizione del lavoratore ad amianto e poi ritenuto che tale esposizione non potesse “superare” l’efficacia causale del fumo di sigarette, contraddicendo il principio di equivalenza delle cause ed ignorando l’acquisizione scientifica e giurisprudenziale dell’effetto sinergico e moltiplicatore dell’esposizione ad amianto e del tabagismo; la violazione del D.P.R. n. 303-56, artt. 4, 19, 20, 21, 377 e D.P.R. n. 547-55, 387, per avere la sentenza sorvolato sulla condizione di rischio per la salute dei lavoratori creata dal datore di lavoro e per avere deciso la causa in base alla c.t.u. svolta in primo grado, senza tener conto della c.t.u. medico legale eseguita nel procedimento nei confronti dell’Inail e delle prove assunte in tale procedimento e in quelli instaurati da colleghi di lavoro del de cuius nei confronti dell’Inps per ottenere la rivalutazione contributiva per esposizione ad amianto; si censura la sentenza d’appello per non aver tenuto conto dei principi secondo cui l’obbligo risarcitorio è integrato anche dall’abbreviazione dei tempi di latenza, poichè determina una diminuzione dei tempi di sopravvivenza e del principio che reputa sufficiente uno standard probatorio in termini di elevato grado di probabilità; si denuncia la violazione dell’art.2087 c.c. per mancata prova, di cui era onerata la società datoriale, di adozione delle necessarie misure di prevenzione.
- Con il terzo e il quarto motivo di ricorso si denuncia la violazione della Cost., artt. 24 e 111 e dell’art.132 n. 4 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 e n. 3 c.p.c. reiterando le medesime censure oggetto dei precedenti motivi ma dal punto di vista del vizio di motivazione perplessa e obiettivamente incomprensibile e di violazione di legge.
- Con il quinto motivo si deduce violazione degli artt. 194 e ss. c.p.c., 41 e 40 c.p., 2087 e 2697 c.c., 115 e 116 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 sostenendosi nuovamente la violazione delle leggi scientifiche in materia di nesso causale.
- I primi due motivi di ricorso, che si esaminano congiuntamente perchè parzialmente sovrapponibili e comunque connessi, sono fondati nei limiti di seguito indicati.
- Come è noto, in materia di infortuni sul lavoro e malattie professionali trova applicazione la regola dell’art. 41 c.p., con la conseguenza che il rapporto causale tra l’evento e il danno è governato dal principio di equivalenza delle condizioni, secondo cui va riconosciuta efficienza causale ad ogni antecedente che abbia contribuito, anche in maniera indiretta e remota, alla produzione dell’evento, potendosi escludere l’esistenza del nesso eziologico richiesto dalla legge solo se possa essere ravvisato con certezza l’ intervento di un fattore estraneo all’attività lavorativa, di per sè sufficiente a produrre l’ infermità e tale da far degradare gli altri fattori a semplici occasioni (v. tra le tante, Cass. n. 6105 del 2015; n. 27952 del 2018; n. 678 del 2023).
- Tale principio è accompagnato, nella giurisprudenza di legittimità, da una duplice precisazione.
- La prima, secondo cui il nesso causale tra l’esposizione a sostanze nocive e l’evento infausto “può ritenersi dimostrato allorchè, applicando leggi scientifiche universali o statistiche ovvero il metodo di giudizio controfattuale, pur non risultando in concreto possibile determinare con esattezza il momento di insorgenza della patologia, si raggiunga comunque la prova che la condotta doverosa omessa avrebbe potuto incidere anche soltanto sul tempo di latenza o sul decorso della malattia” (Cass. pen. 38991 del 2010; Cass. pen. 33311 del 2012; Cass. pen. 24997 del 2012). Ciò comporta, con riferimento al caso in esame, che, ferma l’eventuale esposizione a sostanze nocive in precedenti rapporti di lavoro, l’attività svolta presso l’ultimo datore di lavoro può assumere il ruolo, a sua volta, di concausa ove, comunque, sia raggiunta la prova dell’apporto causale fornito dalla protratta esposizione, sia pure non intensa, quantomeno in termini di accelerazione del decorso della patologia.
- La seconda precisazione che si rinviene nelle pronunce di legittimità ribadisce che, nel caso di malattia ad eziologia multifattoriale, il nesso di causalità relativo all’origine professionale della malattia non può essere oggetto di semplici presunzioni tratte da ipotesi tecniche teoricamente possibili, ma necessita di una concreta e specifica dimostrazione, e, se questa può essere data anche in termini di probabilità sulla base delle particolarità della fattispecie (essendo impossibile, nella maggior parte dei casi, ottenere la certezza dell’eziologia), è necessario pur sempre che si tratti di “probabilità qualificata”, da verificarsi attraverso ulteriori elementi (come, ad esempio, i dati epidemiologici), idonei a tradurre la conclusione probabilistica in certezza giudiziale. (Nella specie, la S.C. ha riformato la sentenza di merito per non aver fatto corretta applicazione di tale principio di diritto, avendo ritenuto non sufficientemente dimostrato il nesso causale tra un tumore polmonare e l’attività lavorativa di un lavoratore tabagista ed esposto al rischio amianto, senza considerare l’ intrinseca contraddittorietà esistente fra il riconoscimento dell’effetto sinergico fra esposizione ad asbesto e tabagismo, e la mancata valutazione di tale effetto fin dai tempi di incubazione della malattia, per non aver tenuto nel giusto conto la localizzazione del tumore nella zona ove vi è maggiore deposizione delle fibre di asbesto e per non aver adeguatamente considerato le più recenti acquisizioni scientifiche, affermanti che il rischio di tumore al polmone aumenta per i lavoratori esposti all’amianto, sia in presenza di una asbestosi, sia in assenza di tale malattia) (Cass., Sez. L., n. 9057 del 2004; Cass. Sez. L., n. 13814 del 2017; Cass. pen. 37762 del 2013; Cass. pen. 12175 del 2016).
- Si è, in particolare, sottolineato come “la ‘regola dell’esclusionè, in presenza di patologie multifattoriali, impone che la malattia possa essere attribuita alla causa indiziata solo dopo che sia stato escluso che abbia avuto un ruolo eziologico il fattore alternativo. Il che va accertato – ovviamente tenendo presente che la natura causale di un determinato antecedente non è esclusa dalla esistenza di una concausa (art. 41 c.p.). E’ pertanto opportuno distinguere (…) tra fattori interferenti che spiegano una efficienza sinergica, in corrispondenza dell’ insorgenza della malattia e/o della sua ingravescenza, da quelli in grado di operare in assoluta autonomia, per i quali sembra appropriato parlare di fattori alternativi” (v. Cass. pen. 16715 del 2017 in motivazione, pag. 92 e ss.; Cass. pen. 37762 del 21/06/2013).
- La Corte di appello non si è attenuta ai principi di diritto richiamati in quanto ha escluso qualsiasi apporto concausale, nella determinazione della patologia tumorale, dell’attività lavorativa svolta presso la (Omissis) sul rilievo che essa “non (era) in grado di determinare da sola la produzione dell’evento lesivo, non avendo la forza di superare, in termini di efficienza causale, fattori estranei alla causa di servizio quali la prolungata massiccia dedizione al fumo e lo svolgimento di una precedente attività lavorativa a rischio per un considerevole arco di tempo (15-20 anni)”. In tal modo contraddicendo la teoria dell’equivalenza delle cause che impone di riconoscere un ruolo (con)causale ad ogni fattore che abbia contribuito, sia pure in maniera indiretta e remota, all’ insorgenza o all’aggravamento della patologia, dovendosi peraltro tenere conto, nell’analisi dei vari fattori interferenti, di come alcuni di essi abbiano un effetto sinergico, in relazione all’ insorgenza della malattia o alla sua ingravescenza, come appunto il fumo di sigaretta rispetto alle patologie tumorali del polmone, secondo la letteratura scientifica posta a base delle pronunce giurisprudenziali sopra richiamate.
- La regola dell’equipollenza delle cause subisce una eccezione nella sola ipotesi in cui si raggiunga la prova che il fattore alternativo, innescando una serie causale autonoma, sia stato in grado, da solo, di produrre l’evento. Tale prova, tuttavia, non può essere oggetto di semplici presunzioni tratte da ipotesi tecniche teoricamente possibili, ma necessita di una concreta e specifica dimostrazione, in termini di “probabilità qualificata”.
- La sentenza impugnata, che pure dà atto di una pregressa esposizione del lavoratore a fibre di amianto aerodisperso presso altri datori di lavoro e per un periodo di 15-20 anni e di una protratta esposizione del medesimo alle stesse sostanze nocive presso (Omissis), tuttavia assegna al fumo di sigaretta il ruolo di fattore causale autonomo, idoneo da solo a produrre la patologia tumorale, non sulla base di un accertamento concreto e agganciato a dati scientifici (probabilità qualificata) bensì sul rilievo, meramente presuntivo, di inidoneità dell’esposizione lavorativa presso (Omissis), in quanto “non intensa” (pagg. 4 e 5 della sentenza d’appello), a causare “da sola” l’evento lesivo, così invertendo i termini logici del problema e pretermettendo, del tutto, il criterio di equipollenza delle cause e la considerazione degli effetti sinergici dei fattori concorrenti (v. Cass. n. 30526 del 2021 e n. 25968 del 2022 concernenti un lavoratore dipendente di (Omissis) Spa (Omissis) Spa con mansioni di manutentore e deceduto per adenocarcinoma polmonare).
- Per le ragioni esposte, accolti i primi due motivi di ricorso nei limiti sopra tracciati e dichiarati assorbiti i residui motivi, la sentenza impugnata deve essere cassata, con rinvio alla medesima Corte d’appello, in diversa composizione, che procederà ad un nuovo esame della fattispecie, attenendosi ai principi di diritto richiamati al fine di accertare, secondo il canone della probabilità qualificata, se l’esposizione a sostanze nocive nel corso del rapporto di lavoro alle dipendenze della (Omissis) Spa possa avere avuto un qualsiasi ruolo concausale nell’ insorgere o nell’aggravarsi della patologia tumorale, sia pure innescata dall’esposizione subita presso precedenti datori di lavoro, definendo il ruolo svolto dall’abitudine al tabagismo, come concausa ad effetto sinergico moltiplicatore o, invece, come serie causale autonoma da sola idonea a determinare la lesione, alla luce di una indagine scientifica idonea a produrre un risultato in termini non meramente presuntivi bensì di elevata plausibilità logica.
P.Q.M.
La Corte accoglie i primi due motivi di ricorso nei limiti di cui in motivazione, dichiara assorbiti gli altri motivi; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
Ai sensi del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52 comma 5, in caso di diffusione è necessario omettere le generalità e gli altri dati identificativi di D.D., i cui eredi sono ricorrenti.
Conclusione
Così deciso in Roma, il 5 luglio 2023.
Depositato in Cancelleria il 21 luglio 2023