La Cassazione, con ordinanza n. 1091/2023, ha confermato il diritto al risarcimento del danno differenziale per malattia asbesto correlata. Il caso specifico è quello di un lavoratore Solvay di Rosignano, affetto da asbestosi. La Corte di Cassazione ha confermato il diritto al risarcimento del danno differenziale e complementare, pur essendo il grado invalidante inferiore al 6%. In quest’ultima pronuncia si afferma il principio della sussistenza della responsabilità civile da reato, per violazione delle regole cautelari.
Ordinanza Cass. Civ., Sez. Lav., 16.01.2023, n. 1091
Sul ricorso 2678/2019 proposto da SOLVAY CHIMICA ITALIA Spa , in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma alla Via Vittoria Colonna, n. 39, presso lo studio dell’Avv. Marco Passalacqua, rappresentata e difesa da quest’ultimo e dagli Avv.ti Giulio Ponzanelli, Antonella Negri, Anna Grazia Sommaruga, Arianna Colombo e Valeria Giudici.
Ricorrente
Contro A.A., elettivamente domiciliato in Roma alla Via Crescenzio, n. 2, sc. B, int. 3, presso lo studio dell’Avv. Ezio Bonanni, dal quale è rappresentato e difeso.
Controricorrente
Avverso la sentenza n. 465/2018 della Corte di Appello di FIRENZE, depositata il 9.7.2018, R.G. n.
245/2017;
udita la relazione della causa svolta nell’adunanza camerale del 18.10.2022 dal Consigliere Dott.
Francesco Giuseppe L. Caso.
Fatto
Con ricorso al Tribunale di Livorno, S.V. conveniva innanzi a detto giudice la Solvay Chimica Italia s.p.a., chiedendone la condanna al risarcimento del danno non patrimoniale, relativo all’affezione all’apparato respiratorio contratta nel corso ed a causa dell’esposizione prolungata a fibre di amianto, cui era stato sottoposto durante l’attività lavorativa svolta alle dipendenze della convenuta presso lo stabilimento di Rosignano dal 1974 al 2006, come operaio addetto, nel tempo, a varie mansioni.
Costituitasi la convenuta che contestava tale domanda, il Tribunale adito, istruita la causa, in accoglimento della domanda dell’attore, condannava la società resistente al risarcimento del danno biologico “differenziale” quantificato in € 2.577,06.
Con la sentenza in epigrafe indicata, la Corte d’appello di Firenze respingeva l’appello proposto dalla Solvay contro la decisione di primo grado, condannando l’appellante al pagamento delle ulteriori spese processuali, come liquidate e distratte in favore del difensore dell’appellato, e dichiarando sussistenti presupposti per l’applicazione per il raddoppio del contributo.
Per quanto qui interessa, la Corte territoriale riteneva destituito di fondamento il primo motivo di gravame, con il quale la società lamentava che il Tribunale non avrebbe tenuto conto che per effetto della rendita INAIL riconosciuta al lavoratore in corso di causa nessun danno differenziale avrebbe potuto riconoscersi in favore dello S.V.. Secondo la Corte, infatti, l’appellante pretendeva di “far applicazione di un criterio di approssimazione aritmetica che non trova fondamento in alcuna norma ed, infatti, non tiene conto della corretta quantificazione dell’indennizzo per la sola componente “placche pleuriche” che il Tribunale ha dichiaratamente ricostruito sulla base di criteri determinativi contenuti nelle tabelle allegate dal D.L.vo n. 38/2000″. Disattendeva, altresì, il secondo motivo d’appello, a mezzo del quale ci si doleva della liquidazione di un danno differenziale, invece escluso per la riconosciuta copertura assicurativa INAIL. Respingeva, ancora, il terzo motivo d’appello, col quale la società contestava la ravvisabilità di fatti penalmente rilevanti, costituenti reati perseguibili d’ufficio. Venivano ritenuti infondati anche gli ulteriori motivi di gravame della Solvay.
Avverso tale decisione la Solvay Chimica Italia s.p.a. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi.
Ha resistito l’intimato con controricorso.
Entrambe le parti hanno prodotto memorie.
Diritto
Con il primo motivo, la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 10, commi 6 e 7, e 131 D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, 13 D.lgs. 38/2000, 1226 e.e. per avere la Corte d’appello ritenuto sussistente un danno differenziale a carico del datore di lavoro pur in presenza di una situazione in cui il sig. S.V. aveva già ricevuto dall’INAIL l’integrale risarcimento del danno biologico (art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c.).
Con il secondo motivo, denuncia “Violazione e falsa applicazione degli artt. 10, commi 1-3, D.P.R. 1124/1965 e 414 c.p.c. per avere la Corte d’appello riconosciuto un danno biologico differenziale superando così la regola dell’esonero del datore di lavoro pur senza accertare un’ipotesi di reato procedibile d’ufficio peraltro neppure allegato dal lavoratore nel ricorso introduttivo del giudizio (art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c.)”.
I due motivi, in quanto tra loro connessi, possono essere congiuntamente esaminati.
Per chiarezza, giova premettere che la Corte distrettuale aveva ritenuto (così alla pag. 2 dell’impugnata sentenza).
Queste preliminari osservazioni del giudice di secondo grado non sono poste in discussione dalla ricorrente.
Occorre adesso ricordare che, secondo un ormai consolidato orientamento di questa Corte, in tema di danno c.d. differenziale, la diversità strutturale e funzionale tra l’erogazione Inail ex art. 13 del d.lgs. n. 38 del 2000 ed il risarcimento del danno secondo i criteri civilistici non consente di ritenere che le somme versate dall’istituto assicuratore possano considerarsi integralmente satisfattive del pregiudizio subito dal soggetto infortunato o ammalato, con la conseguenza che il giudice di merito, dopo aver liquidato il danno civilistico, deve procedere alla comparazione di tale danno con l’indennizzo erogato dall’Inail secondo il criterio delle poste omogenee, tenendo presente che detto indennizzo ristora unicamente il danno biologico permanente e non gli altri pregiudizi che compongono la nozione pur unitaria di danno non patrimoniale; pertanto, occorre dapprima distinguere il danno non patrimoniale dal danno patrimoniale, comparando quest’ultimo alla quota Inail rapportata alla retribuzione e alla capacità lavorativa specifica dell’assicurato; successivamente, con riferimento al danno non patrimoniale, dall’importo liquidato a titolo di danno civilistico vanno espunte le voci escluse dalla copertura assicurativa (danno morale e danno biologico temporaneo) per poi detrarre dall’importo così ricavato il valore capitale della sola quota della rendita Inail destinata a ristorare il danno biologico permanente (così, tra le altre, Cass. civ., sez. lav., 2.4.2019, n. 9112; id., sez. lav., 10.4.2017, n. 9166; e in termini di recente id., sez. lav., 12,. 7.2022, n. 22021).
Ebbene, la decisione gravata, nel disattendere il primo ed il secondo motivo d’appello (con i quali veniva posta la medesima questione delineata attualmente con il primo mezzo di ricorso per cassazione), appare conforme a tali principi.
Più nello specifico, la domanda risarcitoria proposta dall’attore (attuale controricorrente), non modificata in corso di causa, rifletteva all’origine un danno non patrimoniale da qualificare propriamente come “complementare” (definito pure differenziale qualitativo). Tale danno è quello che esula ab origine dalla copertura assicurativa Inail (trattasi del danno biologico temporaneo, del danno biologico in franchigia fino al 5%, del patrimoniale in franchigia fino al 15%, del morale e dei pregiudizi esistenziali, del danno tanatologico o da morte iure proprio e iure successionis) (cfr., ad es., Cass. civ., sez. lav., 2.3.2018, n. 4972). Tale categoria è stata ribadita anche di recente da questa Corte (cfr. Cass. civ., sez. lav., 19.6.2020, n. 12041; id., sez. VI-L, 25.8.2020, n. 17655).
Invero, come è pacifico in base a quanto già evidenziato, quando fu proposta la suddetta domanda, il danno biologico permanente per la sola patologia “placche pleuriche”, benché riconosciuto dall’apposito ente previdenziale pubblico di origine professionale, era stato quantificato nella misura del 4% e, perciò, inferiore al minimo indennizzabile, rientrando così tra i danni e.ci. complementari per i quali non opera la copertura assicurativa.
Solo durante il primo grado di giudizio, come pure in precedenza riportato, intervenne la liquidazione della rendita da parte dell’INAIL (con decorrenza dall’l.7.2014) in rapporto ad un quadro morboso ben diverso; rendita riconosciuta dallo stesso ente in virtù di una percentuale del 16%.
Nondimeno, secondo quanto dedotto dalla stessa ricorrente, già il primo giudice, dopo aver quantificato il danno biologico pari al 4% nella somma di € 4.995,00 sulla base delle tabelle milanesi, aveva detratto da tale somma “la quota parte dell’indennizzo riconosciuto allo S.V. dall’INAIL, quantificata in euro 2.417,94 (somma questa, ottenuta moltiplicando ciascun punto percentuale per il valore economico di euro 604,09 ottenuto riducendo, in base alla fascia di età, il valore economico convenzionalmente attribuito a ciascun punto di invalidità, pari ad euro 929,37, a norma delle tabelle allegate a D.Ivo 38/2000; vedasi anche delibera INAIL 87/2006). La differenza, pari ad euro 2.577,06, come sopra determinata, dovrà dunque ritenersi spettante all’attore a titolo di danno differenziale” (così riferisce la ricorrente a pag. 10 dell’atto d’impugnazione in esame il passo relativo a pag. 19 della sentenza di primo grado).
A detta dell’impugnante, tale quantificazione sarebbe erronea, ma le relative deduzioni, già fatte valere con il primo motivo d’appello (cfr. pag. 3 della decisione di secondo grado), presentano profili d’inammissibilità, perché, come ben risulta dallo sviluppo del primo motivo di ricorso (cfr. pagg. 10-13 e 15-16 dell’atto), mirano in realtà ad una rivalutazione di calcoli e di aspetti prettamente fattuali, il cui esame è riservato ai giudici di merito, sì da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito (cfr., ad es., Cass. civ., 14.4.2017, n. 8758).
Passando, allora, all’esame del secondo motivo, si deve ricordare che la regola dell’esonero del datore di lavoro dalla responsabilità civile per gli infortuni sul lavoro – e del suo superamento solo in presenza di illiceità penale – non vale per il danno che esula ab origine dalla copertura assicurativa INAIL, vale a dire, per il c.d. danno complementare (così Cass. n. 4972/2018 già cit.), come nel caso che qui ci occupa. E questa Corte, infatti, ha confermato che: “6.3 .1. “Ai sensi del D.P.R. n. 1124 del 1965, art. 10, comma 1, l’assicurazione obbligatoria prevista dal decreto citato esonera il datore di lavoro dalla responsabilità civile per gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, nell’ambito dei rischi coperti dall’assicurazione, con i suoi limiti oggettivi e soggettivi, per cui laddove la copertura assicurativa non interviene per mancanza dei presupposti, l’esonero non opera; in tali casi, per il risarcimento dei danni convenzionalmente definiti “complementari”, vigono le regole generali del diritto comune previste in caso di inadempimento contrattuale” (così nella motivazione Cass. n. 12041/2020, ed ivi il richiamo ai precedenti in senso conforme).
A rigore, perciò, nel caso in esame, neppure era necessario che fosse accertata un’ipotesi di reato procedibile ex officio.
In ogni caso, contrariamente a quanto asserisce la ricorrente, la Corte di merito, dopo aver richiamato quanto ritenuto dal primo giudice circa la responsabilità datoriale ai sensi dell’art. 2087 c.c., ha considerato che: “La colpa datoriale ridonda in responsabilità penale perseguibile d’ufficio in ragione della violazione di norme poste a specifica garanzia della tutela del lavoratore, per lesioni permanenti” (così alla pag. 4 dell’impugnata sentenza).
In tale passo, dunque, per giunta riportato dalla stessa ricorrente a pag. 17 del suo atto d’impugnazione, la Corte distrettuale aveva chiaramente individuato nel delitto di lesioni personali colpose, determinanti una malattia professionale (cfr. art. 590, ult. comma, c.p.), l’ipotesi di reato procedibile d’ufficio che poteva ricorrere nel caso in esame.
Non è esatto, perciò, il rilievo della ricorrente, secondo cui “neppure la sentenza riesce ad esprimere in alcun punto della motivazione quale sia il reato procedibile d’ufficio ascrivibile a Solvay, in presenza del quale la regola dell’esonero ex art. 10, D.P.R. 1124/1965 verrebbe meno”.
Pertanto, il ricorso deve essere respinto.
La ricorrente, pertanto, di nuovo soccombente, dev’essere condannata al pagamento, in favore del difensore del controricorrente, dichiaratosi anticipatario, delle spese di questo giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, ed è tenuta al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 200,00 per esborsi ed € 2.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso forfetario delle spese generali nella misura del 15%, I.V.A. e C.P.A. come per legge, e distrae in favore dell’Avv. Ezio Bonanni.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13 comma 1 bis ove dovuto.
Così deciso in Roma nell’adunanza camerale del 18.10.2022