La sentenza 7409/2023 di Cassazione Civile, Sez. Lav., ha evidenziato come una vittima di esposizione a uranio impoverito, interessata a percepire la speciale elargizione, non sia tenuta a dimostrare l’esistenza di un nesso eziologico fra esposizione all’uranio impoverito (o ad altri metalli pesanti) e neoplasia. L’onere della prova ricade quindi sull’Amministrazione. Al contrario è compito della vittima dimostrare il nesso causale in caso di domanda di risarcimento danni.
Cass. Civ., Sez. Lav., 14.03.2023, ordinanza n. 7409
Sul ricorso iscritto al n. 2858/2017 R.G. proposto da: A.A., anche n. q. di legale rapp.te della figlia minore B.B., domiciliata in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentata e difesa dall’avvocato Andrea Bava.
Ricorrente
Contro Ministero della Difesa, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ope legis dell’Avvocatura Generale dello Stato presso i cui uffici domicilia in Roma, Via dei Portoghesi 12.
Controricorrente
avverso la sentenza n. 761/2016 della Corte D’Appello di Salerno depositata il 29/09/2016 R.G.N. 72/2013;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 19/01/2023 dal Consigliere Dott. Daniela Calafiore.
Fatto
La Corte d’appello di Salerno, con sentenza n. 761/2016, assorbita l’impugnazione incidentale relativa all’omessa pronuncia su di un capo di domanda, ha accolto l’impugnazione proposta dal Ministero della difesa nei confronti di A.A. (anche n. q. di madre della minore B.B.) avverso la sentenza di primo grado che aveva accolto la loro domanda tesa ad ottenere il riconoscimento dei benefici previsti per i soggetti equiparati a vittime del dovere, nonchè di quella specifica prevista per i soggetti esposti a esposizioni nocive L. n. 266 del 2005, ex art. 1, comma 564 ed D.Lgs. n. 90 del 2010, ex art. 1079;
la Corte territoriale, dopo aver disatteso il motivo relativo al difetto di giurisdizione, ha riformato la sentenza di primo grado, fondata sulla condivisione delle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio che avevano ricondotto a fatti di servizio la causa del glioblastoma cerebrale a sede frontale destra contratto nel 2004 dal maggiore B.B. (in servizio presso il Polo di Mantenimento Pesante Sud di Nola dal 1987 al 1993) e che lo aveva condotto a morte nel 2005, dando maggior credito alla successiva consulenza collegiale – espletata in appello – che aveva escluso sia il nesso causale unico e diretto che la ricorrenza di alcuna concausa efficiente tra le attività svolte dal de cuius nell’ambito dei propri compiti istituzionali e la patologia che ne aveva determinato il decesso;
la Corte territoriale ha genericamente indicato fra le fonti utilizzate dai consulenti i dati anamnestici, la documentazione clinica, i rapporti informativi redatti dagli ufficiali che avevano avuto alle proprie dipendenze il Maggiore B.B. e la Relazione del Gruppo di Progetto Uranio impoverito/Nanoparticelle dello Stato maggiore della Difesa e la relazione del c.t.u. di primo grado;
ha quindi riportato il parere dei consulenti nominati in appello, secondo cui la letteratura scientifica non era giunta a provare un nesso causale diretto tra esposizione ad uranio impoverito e tumori del sangue o solidi ed ha rilevato che non vi era evidenza in letteratura favorevole alla parte privata, quanto a militari non presenti in teatri di guerra e men che meno smantellatori di organismi bellici; dunque, nel caso di specie, anche a non voler valorizzare tali considerazioni di carattere generale, la Corte non ha riscontrato l’evidenza di quale potesse essere stata “la porta d’ingresso” dell’uranio impoverito nell’organismo del B.B., nè la dose eventualmente assorbita; non ha ravvisato prova di disturbo metabolico imputabile a tossicità chimica dell’uranio, spiegando con le terapie seguite i dati di analisi riscontrati ed ha ritenuto poco evidente il “contatto diretto con le polveri di DU che avrebbero dovuto permanere, nonostante avverse condizioni metereologiche all’esterno dei mezzi corazzati ed esplicare azione patogena per chi, proprio perchè ufficiale responsabile non partecipava manualmente alla demolizione”;
avverso tale sentenza ricorre A.A. vedova B.B. anche quale genitrice della figlia Elena (minore al momento di proposizione del ricorso per cassazione) sulla base di tre motivi, successivamente illustrati da memoria: 1) violazione e falsa applicazione della L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 564 in rapporto alla nozione di “particolari condizioni ambientali ed operative” ed alla definizione D.P.R. n. 243 del 2006, ex art. 1, comma C, posto che la sentenza impugnata avrebbe condiviso l’approccio dei consulenti fondato sulla ricerca dei presupposti della pensione privilegiata (normale nesso causale) e non alle particolari condizioni ambientali ed operative di missione ovvero a particolari fattori di rischio per le quali la giurisprudenza richiede la prova dei presupposti applicativi del principio di precauzione, confermata da SS.UU. n. 23300 del 2016; 2) omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ravvisato nel contenuto della scheda informativa compilata dal generale C.C. datata 8 aprile 2010 e prodotta dall’amministrazione resistente, di cui la ricorrente riporta il contenuto relativo alla partecipazione del B.B. alle operazioni di smantellamento di 498 VTC M113 utilizzate in scenari di guerra, che avrebbe comportato l’esposizione alle sostanze residue dell’attività operativa presenti nelle unità corazzate; 3) violazione e falsa applicazione dell’art. 2729 c.c. in relazione alla errata utilizzazione del giudizio presuntivo in ragione del fatto che l’attività di cui al motivo precedente non poteva far presumere la mancanza di esposizione ma semmai il contrario;
resiste, con controricorso, il Ministero della Difesa.
Diritto
preliminarmente, va rilevato che non produce effetti sulla regolarità del giudizio di legittimità la circostanza che – successivamente al deposito del ricorso per cassazione – B.B., minorenne rappresentata dalla madre nei gradi di merito ed al momento in cui fu depositato il ricorso per cassazione, sia divenuta maggiorenne;
infatti, il giudizio di legittimità non è soggetto ad interruzione per la perdita di capacità della parte. Dunque, essendo stata regolarmente conferita al difensore la procura speciale per il suddetto giudizio dalla madre legale rappresentante della ricorrente, all’epoca minore, è irrilevante la circostanza che questa abbia raggiunto la maggiore età dopo la proposizione del ricorso (Cass. n. 3769 del 2017);
ciò premesso, i tre motivi, connessi e da trattare per questo congiuntamente, sono fondati;
va, in primo luogo, osservato che, in ragione delle cause affermate del decesso e della qualità di Ufficiale delle Forze Armate del congiunto delle odierne ricorrenti, la normativa di cui si deduce la violazione risulta quella di settore, costituita, come peraltro esposto dalla sentenza impugnata, dal D.Lgs. n. 66 del 2010, artt. 1878 e ss. (codice dell’ordinamento militare) nonchè dal t.u. n. 90 del 2010, artt. 1078 e 1079 (Testo unico delle disposizioni regolamentari in materia di ordinamento militare, a norma della L. 28 novembre 2005, n. 246, art. 14);
è evidente l’intento del legislatore di settore di istituire un apposito sistema di tutela dei danneggiati dall’esposizione all’uranio impoverito, posto che il citato T.U. n. 90 del 2010, al Capo II, nel titolo si rivolge ai “Soggetti che hanno contratto infermità o patologie tumorali per particolari condizioni ambientali od operative”, nella formulazione introdotta dal D.P.R. 24 febbraio 2012, n. 40, art. 7, comma 1, lett. a), (sostitutivo del precedente titolo rivolto al “Personale civile e militare esposto all’uranio impoverito e ad altro materiale bellico”);
coerentemente, il successivo art. 1078, dispone che “Ai fini del presente capo, si intendono:
a) per missioni di qualunque natura, le attività istituzionali di servizio proprie delle Forze armate e di polizia, quali che ne siano gli scopi, svolte entro e fuori del territorio nazionale, autorizzate dall’autorità gerarchicamente o funzionalmente sopra ordinata al dipendente;
b) per teatro operativo all’estero, l’area al di fuori del territorio nazionale ove, a seguito di eventi conflittuali, è stato o è ancora presente personale delle Forze armate e di polizia italiane nel quadro delle missioni internazionali e di aiuto umanitario;
c) per nanoparticelle di metalli pesanti, un particolato ultrafine formato da aggregati atomici o molecolari con un diametro compreso, indicativamente, fra 2 e 200 nm., contenente elementi chimici metallici con alta massa atomica ed elevata densità (indicativamente ” 4000 Kg/m3), quali il mercurio (Hg), il cadmio (Cd), l’arsenico (As), il cromo (Cr), il tallio (1l), il piombo (Pb), il rame (Cu) e lo zinco (Zn), e anche i metalli di transizione quali i lantanoidi e gli attinoidi (tra questi uranio e plutonio);
d) per particolari condizioni ambientali od operative, le condizioni comunque implicanti l’esistenza o il sopravvenire di circostanze straordinarie o fatti di servizio che, anche per effetto di successivi riscontri, hanno esposto il personale militare e civile a maggiori rischi o fatiche, in rapporto alle ordinarie condizioni di svolgimento dei compiti di istituto;
e) per medesime condizioni ambientali, le condizioni comunque implicanti l’esistenza o anche il sopravvenire di circostanze straordinarie che, anche per effetto di successivi riscontri, hanno esposto il cittadino a un rischio generico aggravato”;
ancora, l’art. 1079, intitolato ai “Principi generali e ambito di applicazione”, dopo aver esplicitato la propria funzione attuativa dell’art. 1907 del codice, al comma 1, prevede ” Ai soggetti di cui all’art. 603 del codice è corrisposta l’elargizione di cui alla L. 13 agosto 1980, n. 466, art. 6, L. 20 ottobre 1990, n. 302, artt. 1 e 4, della L. 23 novembre 1998, n. 407, art. 1 e L. 3 agosto 2004, n. 206, art. 5, commi 1, 2 e 5, quando le condizioni di cui all’art. 1078, comma 1, lett. d) ed e), ivi comprese l’esposizione e l’utilizzo di proiettili all’uranio impoverito e la dispersione nell’ambiente di nanoparticelle di minerali pesanti prodotte da esplosione di materiale bellico, hanno costituito la causa ovvero la concausa efficiente e determinante delle infermità o patologie tumorali permanentemente invalidanti o da cui è conseguito il decesso;
la platea dei destinatari soggetti all’esposizione nociva è ampia e definita dall’art. 1079, comma 2, che, tra l’altro, dispone ” (…) I soggetti beneficiari dell’elargizione di cui al comma 1 sono: a) il personale militare e civile italiano impiegato nelle missioni internazionali; b) il personale militare e civile italiano impiegato nei poligoni di tiro e nei siti in cui vengono stoccati munizionamenti; c) il personale militare e civile italiano impiegato nei teatri di conflitto e nelle aree di cui alle lettere a) e b) (…)”;
il complesso di tali previsioni rende evidente la consapevolezza del legislatore, sulla base delle conoscenze scientifiche via via emerse, del carattere fortemente nocivo derivante dalla esposizione alle nanoparticelle ivi descritte e degli effetti della stessa esposizione, correlandovi il riconoscimento dei benefici di cui si discute;
il citato dato normativo, come si è riportato, richiede che la dispersione nell’ambiente abbia costituito “la causa ovvero la concausa efficiente e determinante delle menomazioni” ed è questo il punto che va correttamente interpretato;
non può non attribuirsi a tale espressione il senso di porre in favore di chi richiede le prestazioni assistenziali in parola, e si è trovato nelle situazioni di vicinanza all’ambiente nocivo dettagliatamente descritte dalla medesima disposizione, una presunzione di sussistenza del nesso causale tra la malattia contratta e l’esposizione all’ambiente descritto dalla norma;
i destinatari della tutela, infatti, si trovano all’interno di una platea selezionata dagli artt. 1078 e 1079 cit., in ragione del rischio specifico di esposizione, e sono tali disposizioni, come sovente avviene nei sistemi di sicurezza sociale basati sulla rilevanza epidemiologica della peculiare relazione che si pone tra talune attività e certe malattie, che incide sulla disciplina dell’accertamento del nesso causale;
i destinatari della fattispecie in esame devono provare i fatti e cioè di essersi trovati in uno degli ambienti selezionati dal legislatore nel quale in concreto si è verificato l’utilizzo di proiettili all’uranio impoverito ed è quindi avvenuta la dispersione nell’ambiente di nanoparticelle di minerali pesanti prodotte da esplosione di materiale bellico e tali circostanze fanno di per sè presumere la dipendenza della forma tumorale contratta dall’esposizione all’uranio impoverito, pur essendo naturalmente possibile fornire la prova contraria;
la sentenza impugnata ha dunque errato in diritto, alla pag. 18, là dove, disattendendo totalmente la previsione di legge, ha preteso dalla parte ricorrente la prova del nesso causale tra l’esposizione all’uranio impoverito ed il tumore che aveva condotto a morte il militare, condividendo l’opinione dei periti che avevano ricordato che “ad oggi non risulta che l’esposizione esterna all’uranio impoverito causi direttamente tumori del sangue o tumori solidi”;
per quanto qui interessa, dunque, certamente è potenzialmente riconducibile nell’ambito di operatività della presunzione di dipendenza causale descritta, la situazione del Maggiore B.B., ai sensi dell’art. 1079, citato comma 2, lett. c) e b posto che – come è incontestato ed emerge dalla sentenza impugnata – egli apparteneva al Corpo tecnico dell’Esercito dal 1987 e dal 1993 era stato assegnato al Polo Mantenimento Pesante Sud di Nola come capo servizi controlli e collaudi, capo sezione collaudi e capo sezioni parti veicolari ed è stato allegato che in tale contesto lavorativo è avvenuto il concreto contatto con l’ambiente lesivo;
è naturalmente ammessa la prova contraria che deve fornire l’Amministrazione che neghi il beneficio; tuttavia, tale prova contraria non è stata neanche allegata ed in questo senso il primo motivo, che investe in diritto, il modello causale applicabile alla fattispecie è fondato;
quello che risulta controverso, ma necessario per completare la fattispecie che giustifica in concreto l’operatività della presunzione di sussistenza del nesso causale, è il dato storico e fattuale del contatto “con blindati muniti di apparecchiature comportanti emissioni radioattive ed usati in contesti operativi ove avveniva l’uso massiccio di munizioni ad uranio impoverito” affermato dalla ricorrente e negato dalla sentenza impugnata che forma oggetto del secondo e terzo motivo di ricorso;
tali motivi, connessi e da trattare congiuntamente, sono fondati;
la sentenza impugnata, in particolare, ha negato la sussistenza di alcuna prova della esposizione al fattore potenzialmente cancerogeno (definita porta d’ingresso nel corpo dell’ufficiale);
la parte ricorrente, in modo rispettoso del canone di autosufficienza, ha però contestato tale accertamento, rilevando che la motivazione è totalmente contraddetta in modo evidente e decisivo dalla relazione del generale C.C., sopra meglio indicata, come del resto ritenuto dalla consulenza posta a base della sentenza di primo grado;
in particolare, il fatto che il B.B. aveva personalmente curato lo smantellamento di 498 mezzi corazzati giunti contaminati dal teatro operativo bellico della ex Jugoslavia era emerso dal documento allegato dalla Amministrazione della Difesa Fascicolo in prime cure, ossia la “Scheda informativa” 8.04.2010 a firma Gen. C.C. che si concludeva con la precisazione: “la partecipazione, quale membro dell’attività di controllo delle attività di cessione a ditte contraenti di mezzi corazzati da sottoporre a demilitarizzazione e demolizione a fronte del trattato CFE, ha comportato la presenza dell’Ufficiale a fasi di smantellamento di n. 498 VTC M113 avvenuto presso lo STAVECO di Vola dal 1993 al 1996. Questa attività può aver comportato l’esposizione dell’ufficiale a sostanze residue dell’attività operativa presenti all’interno dei mezzi corazzati” (scheda Gen. C.C. 8.4.2010);
dunque, deve concludersi che la sentenza impugnata è effettivamente affetta anche dal vizio di motivazione che le si contesta, dovendo ritenersi provato lo svolgimento di attività prevista dal t.u. n. 90 del 2010, art. 1078 ed il contatto prolungato con blindati muniti di apparecchiature comportanti emissioni radioattive ed usati in contesti operativi ove era avvenuto l’uso massiccio di munizioni ad uranio impoverito;
del resto per la ricostruzione sistematica qui propugnata, è anche la prevalente giurisprudenza amministrativa che ha affermato che “(…) il militare interessato a percepire la speciale elargizione di cui al D.P.R. n. 90 del 2010, richiamato art. 1079 non è tenuto a dimostrare l’esistenza di un nesso eziologico fra esposizione all’uranio impoverito (o ad altri metalli pesanti) e neoplasia. Siffatto accertamento è necessario ove l’interessato svolga una domanda risarcitoria, ossia assuma la commissione, da parte dell’Amministrazione, di un illecito civile consistente nella colpevole esposizione del dipendente ad una comprovata fonte di rischio in assenza di adeguate forme di protezione, con conseguente contrazione di infermità: in tale ipotesi, invero, grava sull’assunto danneggiato dimostrare, inter alia, l’effettiva ricorrenza del nesso eziologico (ossia la valenza patogenetica di siffatta esposizione), sia pure in base al criterio del più probabile che non. Laddove, invece, l’istanza tenda alla percezione della speciale elargizione, si verte in un ben diverso ambito indennitario (…) nel secondo caso la mera dimostrazione di aver affrontato – senza che ciò integri “colpa” dell’Amministrazione – “particolari condizioni ambientali od operative”, connotate da un carattere “straordinario” rispetto alle forme di ordinaria prestazione del servizio, che siano la verosimile causa di un’infermità. Inoltre, il risarcimento del danno compete a chiunque e dipende nel quantum dall’effettivo danno riportato, mentre la speciale elargizione spetta solo ai soggetti individuati dalla legge ed è quantificata a monte in misura predeterminata. Il fatto che, allo stato delle conoscenze scientifiche, non sia acclarata l’effettiva valenza patogenetica dell’esposizione all’uranio impoverito non osta, dunque, al diritto alla percezione dell’indennità, che comunque spetta allorchè l’istante abbia contratto un’infermità verosimilmente a causa di “particolari condizioni ambientali ed operative”, di cui “l’esposizione e l’utilizzo di proiettili all’uranio impoverito e la dispersione nell’ambiente di nanoparticelle di minerali pesanti prodotte da esplosione di materiale bellico” costituiscono solo un possibile aspetto”(Cons. Stato Sez. II, 9 marzo 2022, n. 1695; cfr. altresì Cons. Stato, sez. IV, 24 maggio 2019, n. 3418, che hanno tracciato una netta distinzione in termini di nesso di causalità tra domanda risarcitoria e domanda per la elargizione alle vittime del dovere di cui al D.P.R. n. 90 del 2010, art. 1079);
la sentenza, che non si è uniformata ai principi sopra espressi in ordine alla natura dei benefici oggetto di causa ed ai criteri di accertamento del nesso causale che le sono propri, va dunque cassata dovendosi riconoscere alle ricorrenti il diritto ai benefici previsti per i congiunti del militare deceduto in presenza delle condizioni personali ed ambientali indicate dagli artt. 1078 e 1079 D.P.R.;
la causa, posto che la Corte d’appello, nel rigettare la domanda, aveva ritenuto assorbito l’appello incidentale proposto dalle odierne ricorrenti in ordine all’omessa pronuncia da parte del Tribunale su di un capo della originaria domanda, va comunque rinviata alla Corte d’appello di Salerno, in diversa composizione, affinchè si pronunci anche su tale capo dell’appello; il giudice del rinvio provvederà anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Salerno in diversa composizione.
Conclusione
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 19 gennaio 2013.
Depositato in Cancelleria il 14 marzo 2023